LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  di  svolgimento del processo e
 motivi della decisione.
   Letti gli atti, sentito l'avv. Michele Bianco per il  contribuente,
 sentito il dott. De Donato per l'ufficio.
   Con  atto  notificato il 14 novembre 1997, Bianchi Fausto conveniva
 avanti questa Commissione tributaria l'Ufficio del registro di Torino
 - successioni, ed impugnava l'avviso  di  liquidazione  n.  39,  art.
 95000117  A/2  notificato  il  17  settembre  1997,  con  cui  veniva
 esercitato nei  suoi  confronti,  quale  acquirente  di  un  immobile
 ereditato  dai  venditori, il privilegio di cui all'art. 41, d.-l. n.
 346/90 con conseguente richiesta di pagamento della somma complessiva
 di L.  28.348.270 per imposte, sovrattasse e penali.
   Sosteneva il ricorrente che il privilegio di cui al  cit.  art.  41
 sarebbe  costituzionalmente  illegittimo, con particolare riferimento
 agli artt. 24, 53 e 113 Cost., in quanto assoggetterebbe l'acquirente
 di un bene immobile caduto in successione al  pagamento  dell'imposta
 complementare,    senza   che   allo   stesso   sia   stata   offerta
 dall'ordinamento la benche' minima possibilita' di difesa, specie  in
 ordine  alla  determinazione del valore imponibile e di contestazione
 di quello di maggior valore operato dall'ufficio successioni. A  tale
 proposito,  poi, eccepiva che la giurisprudenza invocata dall'ufficio
 (Cass. sez. I n. 1710  del  25  febbraio  1997)  che  aveva  ritenuto
 pienamente  legittimo il privilegio previsto in materia di Invim (sul
 rilievo che il terzo acquirente "conscio  della  garanzia  a  cui  e'
 assoggettato  per  legge il bene venduto, puo' precostituire forme di
 tutela, atte a prevenire il rischio a cui lo espone il privilegio  ex
 art.  28), non si attaglierebbe al caso dell'imposta complementare di
 successione, in quanto il terzo acquirente di un bene,  in  relazione
 al  quale  l'imposta  di successione e' stata pagata sulla base della
 denuncia, non e' posto in condizione  ne'  di  sapere  che  l'ufficio
 successioni  ha  accertato e contestato agli eredi un valore e quindi
 un imponibile maggiore, ne' per conseguenza  di  difendersi  -  quale
 debitore  in una obbligazione propter rem - sul terreno proprio degli
 eredi quali debitori principali. Viceversa, nel caso  del  privilegio
 Invim,  tale  opportunita'  egli  possiede  in  quanto ha preso parte
 all'atto di trasferimento del bene e quindi e' a piena conoscenza del
 valore che egli stesso puo', per parte sua, contestare.
   A giudizio di questa Commissione, le  osservazioni  del  ricorrente
 appaiono   serie   e  tali  da  far  ritenere  che  la  questione  di
 costituzionalita' sollevata non sia manifestamente infondata.
   In  effetti,  pur  convenendo  con  l'ufficio  resistente  che   il
 privilegio  de  quo  puo'  essere  esercitato esclusivamente sul bene
 alienato dall'erede, il terzo acquirente, tuttavia, non e'  posto  in
 condizione, nell'inerzia dell'erede-alienante, di contestare in alcun
 modo   la  pretesa  dell'ufficio  e,  in  particolare,  di  porre  in
 discussione l'entita' del maggior valore accertato. Cio'  perche'  la
 legge, che peraltro vuole proteggere il fisco con uno strumento molto
 forte  come  il  privilegio  immobiliare  (cfr.  art. 2772 c.c.), non
 prevede nella procedura  di  accertamento  (art.  34  seg.  d.-l.  n.
 346/90)   un  qualche  strumento  che  dia  al  terzo  acquirente  la
 possibilita' di supplire alla inerzia dell'erede, unico interlocutore
 dell'ufficio per quanto riguarda l'imposta di successione.  Nel  caso
 dell'Invim,  il  terzo - come ha giustamente sottolineato la Corte di
 cassazione - ha possibilita' di premunirsi e di muovere contestazioni
 all'ufficio impositore, in quanto egli stesso fu  parte  nel  negozio
 giuridico   fonte   dell'obbligazione   tributaria.  Nel  caso  della
 compravendita di un bene successorio,  invece,  egli  non  ha  alcuna
 possibilita'  del  genere  non  solo  e non tanto perche' egli non e'
 stato   posto   nella   possibilita'   di   venire    a    conoscenza
 dell'accertamento  di  maggior  valore nel caso di inerzia dell'erede
 (come nel caso di specie), ma anche e soprattutto perche', anche se a
 conoscenza  di   tale   accertamento,   egli   non   avrebbe   alcuna
 legittimazione  a interloquire in merito alla determinazione da parte
 dell'ufficio del  maggior  valore,  giacche',  come  sopra  accennato
 l'unico interlocutore dell'ufficio e', per legge, l'erede.
   Su   questo   punto,   essenzialmente,   si  radica  il  dubbio  di
 costituzionalita' che, ad  avviso  di  questa  Commissione,  potrebbe
 viziare  l'attuale  normativa che regola la procedura di accertamento
 di maggior valore.  Non e' dunque, tanto la previsione del privilegio
 immobiliare posto a presidio dell'obbligazione tributaria  (art.  41)
 che  appare  non  conforme ai principi costituzionali, quanto, piu' a
 monte, l'accertamento del  maggior  valore  che  non  prevede  alcuna
 possibilita' di intervento del terzo acquirente (art. 34-35, d.-l. n.
 346/90).  Inconveniente,  questo,  che  potrebbe essere eliminato con
 relativa facilita' mediante la previsione di una estensione al  terzo
 acquirente  del  diritto  dell'erede  alla contestazione dell'operato
 dell'ufficio, con acconci strumenti conoscitivi  (es.,  notificazione
 al  terzo  dell'accertamento,  con  previsione di autonomi termini di
 validita' dell'accertamento) e propositivi (possibilita' di impugnare
 l'atto di accertamento).
   In  conclusione,   la   prospettata   questione   di   legittimita'
 costituzionale   si   pone  in  ordine  alla  procedura  disciplinata
 dall'art. 34 e 41, d.-l. n. 346/90 in relazione agli artt. 24 ("tutti
 possono agire  in  giudizio  per  la  tutela  dei  propri  diritti  e
 interessi  legittimi"),  113 (sulla tutela giurisdizionale contro gli
 atti della p.a.),  e  53  della  Costituzione  (concorso  alle  spese
 pubbliche  in  relazione  alla  capacita' contributiva, principio che
 nella  specie  sembra  vulnerato  dall'impossibilita'  di  contestare
 l'accertamento di maggior valore).
   La  rilevanza  della  questione  nel  caso  in  esame  e'  di tutta
 evidenza.
   Pertanto il giudizio va sospeso e gli atti vanno rimessi alla Corte
 costituzionale, come in dispositivo.